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"Papà, oggi alla partita non mi sono divertito affatto. Se questo vuol dire andare a scuola calcio, meglio continuare a suonare il pianoforte". "Lo capisco figlio, avete perso e non è affatto bello". "No papà, non c'entra niente la sconfitta". "E allora sicuramente sarà perché i compagni non ti passano mai la palla, io ho cercato anche di dirlo al mister ma non mi ascoltava". "No papà, non è questo il motivo". "Cos'è successo, è per via dell'arbitraggio? Purtroppo la colpa è di chi ce li manda questi arbitri incompetenti". "Papà, il fatto è che..." "Poi ci si mette pure il mister che ti fa giocare da terzino, possibile che non capisce che tu devi fare l'attaccante?" "Papà basta! Non sono triste perché abbiamo perso; a me non importa, quando gioco lo faccio sempre per vincere ma ciò che conta per me è correre e divertirmi insieme ai miei compagni. Non mi interessa dell'arbitro, ha solo qualche anno più di me e come me può sbagliare. Non fa nulla se gioco da terzino papà, le scelte del mister vanno rispettate. E se i miei compagni non mi passano la palla non è un problema, neanche io la passo perché quando ce l'ho mi piace provare a scartare l'avversario". "E allora figlio, cos'è che ti rende così triste?" "E' il tuo atteggiamento papà. Le tue urla, i tuoi consigli. Quando hai detto quella parolaccia all'arbitro mi sono davvero vergognato. Poi ti sei messo a litigare con un genitore dell'altra squadra, per non parlare di quando hai iniziato ad urlare al mister di farmi giocare in attacco". "Figlio, ma io lo faccio perché voglio che vinciate cosicché tu sia felice". "Papà, non ho bisogno di vincere per essere felice. Mi basta correre dietro al pallone insieme ai miei amici. Papà, la prossima volta, per favore, divertiti insieme a me. Non urlare, non gridare e lascia stare il mister, l'arbitro e gli avversari. Guarda la partita e lasciami giocare papà. Perché, io, non desidero nient'altro che giocare".

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